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Per qualche inesplicabile motivo l'Ocean Venturer si rifiutò di morire.

Forse fu la pesante chiglia doppia, progettata e costruita per spingersi attraverso i ghiacci, a salvarlo. Buona parte delle piastre metalliche esterne si era spaccata, la tenuta stagna del fasciame aveva ceduto e la chiglia si era contorta. I danni erano estesi e molto gravi, però la nave sopravviveva.

Pitt, fermo in piedi e vittima dello stordimento, aveva visto il derrick piombare giù, attraverso i finestrini senza più vetri della cabina di comando. Allentò la stretta sulla maniglia della porta alla quale si era afferrato e andò a cozzare traballando contro la consolle di Hoker: il senso dell'equilibrio gli confermò ciò che gli occhi si rifiutavano di credere: il ponte era inclinato a un angolo di trenta gradi. Il suo primo pensiero fu la dolorosa certezza che la nave era irrimediabilmente persa; subito dopo gli si affacciò alla mente un secondo e non meno doloroso pensiero: come poteva aver ridotto la tremenda esplosione i sommozzatori che lavoravano intorno al relitto? Si sforzò di superare lo shock che gli annebbiava il cervello e il dolore sordo che gli martellava nella testa. Ricapitolò mentalmente ciò che andava fatto, passo dopo passo, secondo logica, e si accinse a eseguirlo. Si accostò all'interfono e chiamò il capo macchinista. Passò poco meno di un minuto - che a Pitt parve eterno - prima che una voce resa impersonale dallo sbalordimento gli rispondesse: «Sala macchine».

«Metz, è lei?»

«Dovrebbe parlare più forte. Non riesco a sentirla.»

Pitt si rese conto che gli uomini dei ponti inferiori e della sala macchine erano rimasti assordati dal fragore dello scoppio e dai colpi che indubbiamente avevano subito. Urlò, con le labbra attaccate all'imboccatura: «Metz, qui parla Pitt!»

«Così va meglio, adesso la sento», rispose l'altro, con voce monotona cui l'apparecchio conferiva una risonanza metallica. «Che diavolo sta succedendo?»

«Tutto ciò che riesco a immaginare è che ci sia stata un'esplosione là sotto, sul relitto.»

«Per la miseria! Pensavo che i canadesi ci avessero spedito un siluro.»

«Mi faccia il resoconto dei danni.»

«Qua è come lavorare sotto un centinaio di rubinetti aperti. L'acqua sta entrando da tutte le parti. Non credo che riusciremo a pomparla fuori. Questo è tutto ciò che le posso dire fintanto che non avrò esaminato lo scafo.»

«Ci sono feriti?»

«Siamo stati catapultati qua e là come acrobati ubriachi. Credo che Jackson si sia rotto un ginocchio e Gilmore deve avere una frattura cranica. A parte questi, un po' di timpani in malora e un sacco di lividi.»

«Mi richiami ogni cinque minuti», ordinò Pitt. «E qualunque cosa vi mettiate a fare, tenete in moto i generatori.»

«Non c'era bisogno che me lo ricordasse. Se i generatori vanno, andiamo bene anche noi.»

«Vedo che ha afferrato il concetto.»

Pitt chiuse la comunicazione e si girò a guardare Heidi, preoccupato.

C'era Gunn inginocchiato accanto a lei e le reggeva la testa nel cavo del braccio. La donna giaceva rannicchiata contro il tavolo delle carte nautiche e fissava gli occhi vacui sulla propria gamba sinistra, piegata in un angolo innaturale. «Strano, non mi fa male... neanche un po'», sussurrò.

I dolori verranno tra poco, pensò Pitt. Era già sbiancata in faccia come un lenzuolo per lo shock. Le prese una mano. «Sfattene qui tranquilla: vedo se riesco a trovare una barella.»

Avrebbe voluto parlarle, confortarla, ma non ne aveva il tempo. Si allontanò da lei, a malincuore, nell'udire la voce angosciata di Hoker.

«Fuori uso!» Il tecnico stava lottando con se stesso per riprendersi. Raccolse la seggiola che era caduta sul ponte e fissava sgomento la consolle e i monitor spenti.

«E allora sbrigati ad aggiustare il tuo maledetto aggeggio!» disse Pitt, in tono aspro. «Dobbiamo sapere al più presto che ne è stato dei sommozzatori.» Prese una cuffia e si collegò con tutti i ricevitori dell'Ocean Venturer.

Sui ponti e nelle sale sottostanti gli scienziati e i tecnici della NUMA incominciavano a riprendersi dallo sconquasso e a darsi da fare furiosamente per rimettere in sesto la loro nave. I feriti più gravi furono trasportati nell'infermeria, ma ben presto i lettini furono tutti occupati e allora li adagiarono in fila nel corridoio. Chi non doveva provvedere alle riparazioni più urgenti diede una mano a spostare i frammenti del derrick o a turare le incrinature che si erano aperte nello scafo, lavorando con l'acqua gelida fino alla cintola. Una squadra di sommozzatori venne adunata in tutta fretta per un'immersione.

Pitt incominciò a essere subissato da una valanga di messaggi mentre dirigeva le operazioni. Gli comparve davanti un radiotelegrafista che ancora non si era ripreso dallo stupore di quanto aveva appena ricevuto. «Un attimo fa, dal comandante del Phoenix. Chiede se abbiamo bisogno di aiuto.»

«Cristo, se ne abbiamo bisogno!» gridò Pitt. «Gli dica di accostarsi con la sua nave, portandosi di fianco a noi. Ci occorrono tutte le pompe di cui dispone e tutti gli uomini che ci può assegnare per la verifica dei danni.»

Rimase in attesa, impaziente di udire la risposta, e intanto si premette un asciugamano bagnato sulla fronte.

«Ecco la risposta», annunciò il radiotelegrafista, eccitato. «Dice: 'Tenete il forte. Ci ancoreremo alla vostra dritta'.» Pochi secondi dopo ricomparve: «Il comandante Weeks dell'Huron vorrebbe sapere se stiamo per abbandonare la nave».

«Già, gli piacerebbe», brontolò Pitt. «Così i suoi problemi si risolverebbero di colpo.»

«Attende una risposta.»

«Digli che abbandoneremo la nave quando saremo capaci di scendere con le nostre gambe sul fondo. Poi rivolgigli la richiesta di uomini e attrezzature di pompaggio...»

«Pitt?» Era la voce di Metz.

«Sono in ascolto.»

«Pare che sia stata la poppa a subire la massima violenza dell'esplosione. Da mezza nave in avanti lo scafo è ancora intatto e asciutto. Poi, da qui verso prua, è più dentellato di un puzzle. Ho paura che siamo fritti.»

«Per quanto tempo ce la fa a tenerci a galla?»

«L'acqua, alla velocità con cui sta salendo, dovrebbe arrivare ai generatori e mandarli in corto entro venti-venticinque minuti. Le pompe non funzionerebbero più e allora ce ne resterebbero, se va bene, altri dieci.»

«Stiamo per ricevere aiuti. Apra i portelloni laterali di caricamento, in modo che gli uomini e le pompe del cacciatorpediniere si possano trasferire qui a bordo.»

«Faranno bene a spicciarsi, perché altrimenti non troverebbero nessuno a dargli il benvenuto.»

Il radiotelegrafista gli fece un cenno e Pitt gli si avvicinò con la fretta consentita dal ponte inclinato.

«Ho ristabilito il contatto col Sappho I», annunciò. «La collego con loro telefonicamente.»

«Sappho I, qui parla Pitt. Rispondete, per favore.»

«Qui è Klinger del Sappho I, o di quanto ne è rimasto.»

«In che condizioni vi trovate?»

«Siamo circa centocinquanta metri a sud-est del relitto, con la prua conficcata nella melma. Lo scafo ha resistito allo scuotimento - ci pareva d'essere all'interno di una campana mentre rintocca -, però uno dei finestrini d'osservazione si è spaccato e imbarchiamo acqua.»

«I sistemi d'aerazione d'emergenza funzionano?»

«Sì. Dovrebbero mantenerci in vita ancora per un bel po'. Dovremmo restare sotto quindici ore buone prima che la riserva di ossigeno si esaurisca.»

«Potete riemergere in salita libera?»

«Io potrei», rispose Klinger. «Nello sconquasso ho perso soltanto un dente. Marv Powers, invece, è malconcio. Frattura di tutt'e due le braccia e un brutto colpo in testa. Non ce la farebbe mai a ritornare da solo in superficie.»

Pitt chiuse un attimo gli occhi, chiedendosi che cosa doveva fare. Non gli piaceva atteggiarsi a padreterno quando si trattava di vite umane, decretando le priorità su chi doveva essere salvato per primo o per ultimo. Presa la decisione, li riaprì.

«Dovrà resistere per un po', Klinger. Non appena possibile vi tireremo su. Si rimetta in comunicazione con me ogni dieci minuti.»

Uscì sul ponte e guardò in basso. Quattro sommozzatori si stavano calando giù lungo la fiancata.

«Sono riuscito a catturare un'immagine», annunciò Hoker, trionfante, mentre uno dei monitor s'illuminava.

Sullo schermo comparve l'immagine del cosiddetto pozzo visto dal ponte di passeggiata superiore. Le colonne di supporto avevano ceduto sotto l'urto e il ponte sottostante era crollato, piombando giù all'interno. Non c'era segno dei due sommozzatori chiusi negli scafandri JIM e neppure di quelli che sarebbero dovuti essere nella camera pressurizzata.

L'occhio gelido e indifferente della telecamera non mostrava altro che un cratere circondato da lamiere d'acciaio grottescamente contorte, ma Pitt aveva la sensazione di guardare in una tomba aperta.

«Dio li aiuti», mormorò Hoker col fiato che gli si spezzava in gola.

«Devono essere morti, tutti quanti.»

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